Ragioniamo un po' su problemi e prospettive |
Cosa bolle in pentola ...
"Stiamo consumando le energie fossili
accumulate in milioni di secoli. Di questo passo verrà il giorno in cui
l'Europa non troverà più risorse energetiche al suo interno per tenere il
passo con la sua espansione. Ecco perché bisogna intensificare gli studi
sull'energia solare". Questa dichiarazione non avrebbe nulla di
straordinario se non fosse per la data in cui venne rilasciata: oltre 130 anni
fa, con almeno tre generazioni di anticipo sulla prima crisi petrolifera!
L'autore, Augustine Mouchot diede poi realmente seguito alle sue intenzioni,
presentando all'Esposizione Universale di Parigi del 1878 il primo "motore
solare", un riflettore a parabola che, concentrando i raggi in un solo
punto, generava calore sufficiente a produrre il vapore poi impiegato per
azionare un macchinario.
Alle soglie del 21° secolo, dopo un lunghissimo periodo di oblio, l'energia
solare sembra adesso voler uscire dal cono d'ombra, per riproporsi come una
alternativa credibile alle fonti tradizionali. I valori sono ancora irrisori, i
problemi non mancano e i costi sono fuori mercato. Eppure tanti indicatori fanno
presupporre che questa sia davvero la volta buona.
1.200 MW installati in giro per il mondo
Partiamo proprio dai
"numeri". Nel corso del 2000 sono stati installati a livello mondiale
288 MW di energia fotovoltaica. Pochi, pochissimi, neppure la potenza di un
discreto impianto di cogenerazione. Eppure questo valore ha segnalato una
crescita rispetto al '99 pari al 43 per cento: nessun'altra fonte energetica può
vantare performance anche solo paragonabili.
Lo dimostrano anche i piani di sviluppo delle principali aziende di settore. Per
esempio la giapponese Sharp, tra i primi produttori a livello mondiale, nel solo
2001 ha accresciuto del 70 per cento la sua capacità produttiva. In Europa
incoraggiano la scelta della BP Solaris, che ha annunciato l'intenzione di
aprire una fabbrica in Spagna con una capacità annua di 60 MW e i tassi di
crescita della Siemens, che dai 33 MW prodotti nel 2001 dovrebbe agevolmente
arrivare ai 47 di quest'anno.
Per quanto riguarda la potenza complessiva dei pannelli fotovoltaici oggi in
esercizio, si stima che possa raggiungere i 1.200 MW a livello mondiale. Per i
prossimi anni, per altro, sono attesi tassi di sviluppo ancora più consistenti.
Le stime di settore parlano della possibilità di arrivare entro il 2010 a una
domanda annua pari a 2 GW di moduli fotovoltaici. Ciò significherebbe
installare in soli 7 mesi l'equivalente di quanto realizzato negli ultimi venti
anni! Per il solo Giappone l'obiettivo è quello di arrivare a 4.800 MW
installati nel 2010.
Insomma, anche se i valori assoluti sono ancora marginali quelli relativi
assegnano al solare un ruolo che va al di là della semplice curiosità. Tanto
è vero che si è già evidenziata una "questione silicio".
L'Europa vara il programma Sahara
Il silicio rappresenta,
attualmente. la materia prima per la realizzazione dei pannelli fotovoltaici.
Fino a oggi, considerando il livello della domanda, nessuno aveva ancora pensato
a una produzione "dedicata": bastava attingere piccole quantità dalla
produzione del settore informatico. Ora, però, lo scenario che si propone è
molto diverso e già qualcuno comincia ad agitare lo spettro della scarsità di
materiale a disposizione, mentre "a microfoni spenti" si parla di una
sorta di Opec, un cartello tra le aziende che controllano il mercato del silicio
per mantenere alti i prezzi e controllare le disponibilità.
Uno scenario che ha già attivato le contromosse della Unione europea,
attraverso il suo centro comune di ricerca (Ccr). "Già oggi il silicio non
si trova - spiegano i responsabili del Ccr di Ispra - ci sono ordini inevasi
fino a 18 mesi e chi lo trova lo deve pagare salato. Il silicio puro per i chip
costava a fine 2001 ben 60 dollari al chilo, sei volte tanto rispetto al 1999.
Il materiale di scarto o di recupero, che per le esigenze del fotovoltaico
andrebbe benissimo, costava attorno ai 30 dollari, ma solo due anni fa poteva
essere acquistato per 10. Paradossalmente la crisi dell'informatica ha fatto più
male che bene. Piuttosto che calare i prezzi, i produttori di silicio hanno
preferito chiudere alcuni impianti, senza farsi concorrenza di prezzo grazie a
un tacito accordo".
Nasce da queste considerazioni, dunque, il progetto Sahara, che punta alla
costruzione di una nuova fabbrica dedicata esclusivamente al silicio
"fotovoltaico" con una capacità produttiva di 5 mila tonnellate/anno,
sufficienti per soddisfare l'intera domanda prevista nel Vecchio Continente ora
del 2005. Investimento previsto, 150 milioni di euro. "Le ragioni non sono
solo economiche - proseguono al Ccr - ma anche strategiche. Il fotovoltaico
assorbe il 10 per cento della disponibilità mondiale di silicio ma nel 2005 si
potrebbe arrivare alle soglie del 25. Diventerà così inaccettabile la
situazione attuale che costringe le industrie europee a cercare la materia prima
giorno per giorno, per andare avanti con la produzione, spaziando dall'Ucraina
al Sud America, fino agli Usa".
Tecnologie: c'è ancora molta strada da fare
Sul fronte tecnologico, come detto, la quasi totalità delle applicazioni usa il silicio cristallino. In questo caso da una superficie di circa 10 metri quadrati si ottiene una potenza di 1 kW, con un costo all'ingrosso di quasi 4 mila euro per kW e uno finale che raggiunge i 7-8, installazione compresa. Il rendimento supera difficilmente il 12 per cento e l'utilizzo effettivo, per una zona climatica come quella italiana, oscilla attorno alle 1.300 ore/anno. Giusto per fare un esempio un po' crudele a parità di potenza di riferimento un pannello costa 10 volte più di un motore diesel, rendo meno della metà e ha un funzionamento annuo di un quinto. Il rapporto è di 1 a 100. A vantaggio del sole va però detto che la "materia prima" non va estratta; il combustibile è dunque a costo zero.
È per
questo che anche un rendimento inferiore al 15 per cento può essere ritenuto
accettabile.
C'è poi il discorso ambientale. Per ogni kWh di elettricità generata da fonte
solare si risparmiano 0,25 chili di petrolio, dunque 0,7 chili di CO2 altrimenti
immessa in atmosfera. Un buon risultato, anche se, in tema di esternalità, non
ci si può limitare a considerare solo l'ultimo step della filiera. È infatti
vero che l'impatto ambientale del solare è nullo in fase di produzione
energetica. Non altrettanto, però, si può dire per quanto riguarda la
costruzione del pannelli.
Per realizzare un pannello, allo stato attuale della tecnologia, serve infatti
un notevole apporto di energia. Produrre un modulo standard da 140 W richiede
qualcosa come 320 kWh, quanti il pannello ne eroga, tenendo conto dei
rendimenti, in circa otto anni. In pratica il bilancio energetico va sicuramente
in attivo solo a partire dal nono-decimo anno. Non a caso la ricerca sta
cercando proprio di aumentare la durata media dei pannelli. Al riguardo va
citata una ricerca della Università di Norimberga secondo la quale un modulo di
alta qualità può durare fino 25 anni, rispetto ai soli 5 di uno mediocre, pur
costando quest'ultimo solo un 15-20 per cento in meno.
Restando in tema di ambiente, a vantaggio del solare, c'è comunque un altro
elemento importante: è l'unico sistema di generazione del tutto integrabile con
un ambiente già costruito, senza richiedere nuovi spazi. Superando la logica
del "retrofit" (ovvero di installazioni su costruzioni già esistenti)
e considerando il pannello come un componente edile di base, tra l'altro, si
potrebbe scavalcare la barriera dei costi: 50 mila euro in più per l'impianto
su un condominio del costo di parecchi milioni di euro passano quasi
inosservati…
Dal Centro comune di ricerca europea un progetto che fa sperare
Per ora,
quando si parla di rendimenti dei pannelli fotovoltaici, anche un incremento di
pochi punti decimali viene salutato dalla comunità scientifica come un grande
risultato. Ma in un futuro nemmeno troppo lontano, si potrebbe addirittura
arrivare alle soglie del 90 per cento. Questo, almeno, è l'obiettivo dei
ricercatori europei.
"Per ora non potremmo neppure definirlo programma - spiega Heinz Ossenbrink,
responsabile della Unità energie rinnovabili del centro comune di ricerca
europea - è più che altro una aspirazione, un filone di ricerche ancora tutto
da scoprire. Eppure nel fotovoltaico di terza generazione, così dovrebbe
appunto chiamarsi, sono in molti a crederci. L'importante sarà abbandonare il
silicio. Questo elemento, infatti, ha un limite fisico intrinseco del 27 per
cento in termini di rendimento, e dunque - a livello di sistema - ancora più
basso".
I motivi li spiega lo stesso Ossenbrink. Attualmente circa il 40 per cento dei
fotoni che colpiscono un pannello solare non possiedono abbastanza energia per i
sistemi di captazione e dunque non viene sfruttato. Un'altra parte consistente
ha "troppa" energia e di questa vengono captati solo 1,2 elettronvolt.
La maggior parte dell'energia dei fotoni che raggiunge le celle non riesce
quindi a essere convertita in elettricità: o viene riflessa o si trasforma in
calore.
"E' in questa area di inefficienza - concludono al centro ricerche di Ispra
- che vogliamo incidere con le nuove ricerche puntando in un primo tempo a
rendimenti del 50 per cento per poi arrivare, magari, addirittura al 90.
Naturalmente non prima del 2020".
Per ora siamo ai margini della fantascienza. Ma c'è un precedente che può
incoraggiare. Nel 1953, quando venne realizzato il primo pannello fotovoltaico a
livello industriale, il suo rendimento era ancora limitato allo 0,5 per cento.
Allora sembrava che superare la soglia del 4 per cento di rendimento sarebbe
stato comunque pressoché impossibile.
E per il breve periodo, si scommette sui "film sottili"
In attesa
della "terza generazione" del fotovoltaico, con quel salto tecnologico
che dovrebbe portare i rendimenti ben oltre il 50 per cento, nel breve periodo
la ricerca continua a lavorare per incrementare i rendimenti attuali. Anche di
quelle frazioni di punto che, in questo campo, già rappresentano un successo.
Partendo dal silicio amorfo, che pur assicurando un rendimento minore rispetto
al cristallino è contraddistinto da un decadimento più lento e da una maggiore
modularità, si cerca una soluzione di compromesso. Lo scopo di questi studi,
condotti specialmente in Giappone, è quello di realizzare pannelli in silicio
amorfo con cristalli di silicio, che possano quindi durare quanto i primi, pur
essendo contraddistinti dall'efficienza dei secondi. Sono attesi sul mercato
entro i prossimi cinque anni.
Positivi dovrebbero essere anche i risultati ottenibili con la tecnologia dei
film sottili, non necessariamente a base di silicio e comunque in grado di
funzionare con una intensità inferiore rispetto a quella dei pannelli attuali.
Allo stato attuale si lavora soprattutto sulla durata e sull'efficienza.
Sempre rimanendo al di fuori del silicio, la sigla che promette di più è
quella del "Cis", il diselenuro di rame e indio. Si tratta di un
plasma, dunque di un materiale più facile da depositare durante la lavorazione.
Dalla sua ha la caratteristica di presentarsi come alternativa al silicio, un
materiale sempre più difficile da reperire. Da questo punto di vista sembra
dunque rappresentare una soluzione più politica che non tecnica. Per ora,
infatti, con il Cis difficilmente si va al di là dell'11 per cento di
rendimento.
Va infine ricordato che durante le missioni spaziali è stato sperimentato con
successo l'arseniuro di gallio. Più che eccellente il rendimento - si parla,
addirittura, del 36 per cento - ma assolutamente fuori mercato il prezzo che
supera di oltre dieci volte i già costosi pannelli tradizionali.
(fonte: D. Canevari - Il giornale dell'ingegnere)