ROCCO DI BONO

Cenni biografici

Rocco Di Bono, nato a Genzano di Lucania (PZ) nel 1955, qui vive e lavora svolgendo la professione di avvocato. Di sè stesso dice di aver avuto una formazione "cattocomunista" poichè, dopo aver dato origine (insieme ad altri amici) a un gruppo giovanile cattolico che è stato a lungo al centro dell'attenzione nel paese d'origine, ha militato nelle file del Partito Comunista Italiano prima e nel P.R.C. poi. Oggi si definisce un "sans-papiers" del popolo disperso della sinistra italiana.

Lettore appassionato ed onnivoro, ha sempre accompagnato il suo amore per i libri a quello per la cultura e la musica popolare.

Cantava l'anno è la sua prima pubblicazione (2011) a cui seguirà nel dicembre 2013 Prima che il tempo.

Rocco Di Bono

 


Altre sezioni interessati

Storia e Monumenti

 

Per le persone meno fortunate di noi:

Opera S. Francesco

 

Cantava l’anno, Rocco Di Bono


1° edizione 2011

Ed. Nuove Proposte, Martina Franca (TA).


2° edizione 2014

Telemaco Edizioni, 

Acerenza (PZ).

 

Talvolta, anzi spesso, la storia ci viene raccontata a sciabolate. Tagli netti: di qua il bianco, di là il nero. Verità e menzogna individuate, riconosciute e separate. Senza mediazioni, senza compromessi, senza colori e in genere in sintonia col pensiero dominante.

Senza emozioni, sentimenti o turbamenti. Quasi sempre senza pietà.

Sullo sfondo indefinito del tempo ecco fluire la gelida successione degli eventi: è la Storia, bellezza. La Storia che ha reso e rende immortali uomini e popoli e memorabili gli avvenimenti.

Rocco Di Bono ci parla di quella Storia ma lo fa con inusitata maestria e con leggerezza, rapportandola a una scala e dimensione umana con la sensibilità e il garbo dei ricordi. Così, per Rocco, la Storia è fatta anche e soprattutto di storie umane e personali che hanno attraversato la nostra generazione, che hanno fatto parte della nostra esperienza e che hanno costruito la nostra cultura e il nostro modo di essere, che hanno inciso sui modelli sociali e forse anche sui comportamenti. È la storia della seconda metà del Novecento, il mezzo secolo più vicino a noi, praticamente una vita narrata a flash che scattano leggeri e rapidi e illuminano un percorso, quello della conclusione di un secolo e della transizione nel nuovo millennio.

Col fiuto di un segugio, lo fa seguendo una traccia insolita e insospettabile, sorprendente, singolare, emozionante, bizzarra. Troppi aggettivi? No. Se la pista è quella del microsolco inciso sul disco in vinile prima e CD-Rom poi, vi assicuro che di aggettivi ne occorrerebbero molti altri.

Le storie e i fatti che hanno caratterizzato l’ultimo Novecento possono essere raccontati in molti e diversi modi, quello standard è costituito dal rosario delle date che snocciola e descrive man mano le vicende, in una progressiva successione di eventi.

Ma la narrazione di Rocco Di Bono appassiona ed emoziona perché usa la musica per raccontarci questi ultimi cinquant’anni. Anche lui parte dal calendario ma incrocia poi i dati con le mille storie quotidiane e con le canzoni che hanno caratterizzato o segnato quel particolare momento storico, culturale, sociale. Ne vien fuori un coro polifonico di inusitata leggerezza e stringata bellezza che tratteggia gli avvenimenti salienti di fine secolo/millennio.

Rocco dà inizio al suo bel libro Cantava l’anno chiedendosi “Com’era la luna nella primavera italiana del 1950? Certamente rossa, come le bandiere sventolate dalle migliaia di contadini e braccianti che in ogni parte d'Italia andavano, in quei mesi, ad occupare le terre incolte.” Il movimento dei “senza terra”, nonostante la brutalità della repressione scelbiana, colse in quello stesso anno il successo della riforma agraria che fu legge nell’ottobre del ’50.

Ma, sempre nel 1950, Di Bono ci ricorda che nel giro di due mesi Cesare Pavese passa dalla vittoria letteraria del Premio Strega al suicidio in una solitaria camera d’albergo. E soffiano anche drammatici venti di guerra: la Corea si infiamma, gli USA intervengono militarmente. Zitta zitta la Cina invade e si annette il Tibet. Intanto in Italia è il ritmo beguine che tiene banco con un testo firmato da Vincenzo De Crescenzo, che descrive il vagabondare notturno e dolente di un uomo abbandonato con “l'uocchie sott’o cappiello annascunnute, / mane int’a sacca e bávero aizato”, se ne va in giro, fischiando alle stelle e rimuginando sulle sue delusioni d’amore, fino all’amara constatazione che ad aspettarlo “ccà nun ce sta nisciuno”. È la stessa Luna Rossa, forse.

Passando attraverso il boom economico, il sessantotto e la lenta rivoluzione dei costumi, lo sbarco sulla luna, la rivolta studentesca del ’77 e gli indiani metropolitani (come dimenticare i murales di Valle Giulia?), le stragi neofasciste e quelle che sapremo poi mafiose, il passaggio sotto le forche caudine degli anni di piombo, il terrorismo brigatista, le trasformazioni della e nella società italiana introdotte dalla legge sul divorzio prima e sull’aborto dopo, l’assassinio di Pasolini, il fenomeno e la diffusione delle cosiddette “radio libere”, il Vietnam, il Medio Oriente, il muro di Berlino, Piazza Tien An Men, il crollo dell’URSS, Sarajevo, Tangentopoli sono solo alcuni dei tanti accadimenti che il burrascoso mezzo secolo di Cantava l’anno ci racconta e si conclude col 1999.

È nell’ultimo anno del secolo che il progetto europeo si consolida con la nascita dell’Euro. Tra la fine del ’98 e il gennaio ’99 muoiono Battisti e De Andrè, a fine novembre a Seattle la terza Conferenza Ministeriale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio termina tra dimostrazioni di massa contro l'OMC e la globalizzazione.

Nasce così il “popolo di Seattle”, il movimento no-global nel quale confluisce un insieme internazionale di gruppi, organizzazioni non governative, associazioni e singole persone, tutte accomunate dalla critica al sistema economico neoliberista dominato dalle multinazionali, che genera i conflitti per la supremazia economica e l'accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime. Un anno dopo uscirà No Logo, un saggio della giornalista e scrittrice canadese Naomi Klein che sarà considerato uno dei testi di riferimento principali del movimento no-global e, al di là di ogni tentazione o fascino utopistico, affermerà speranzoso che “Un altro mondo è possibile”.

Complessivamente, dunque, un turbinio di eventi che parte con le lotte contadine e con l’occupazione delle terre nel 1950 e si conclude col movimento internazionale che si contrappone alla globalizzazione del pianeta a partire dal 1999. Il tutto sapientemente legato dal filo rosso della musica e delle canzoni che hanno scandito il tempo di quegli eventi.

Non c’è che dire, una bella galoppata che vale la pena di intraprendere.



Prima che il tempo

Rocco Di Bono


Stampato in proprio

presso C.S.M. 

per sè e gli amici

(Genzano di L., 2013)

 

Com'è il mondo visto con gli occhi di un ragazzino di una diecina d'anni? Anzi, più che il mondo, un angolo di mondo. Un angolino remoto, magari un pesino della più dimenticata delle terre meridionali. Che ne dite della Lucania? Magari partiamo da Genzano?

Ecco, Rocco Di Bono, con la scusa della sua giovane età ci prende per mano e ci porta a spasso in un periodo storico che ha visto il preludio dei molti cambiamenti che avverranno solo successivamente e che ha segnato in modo indelebile intere generazioni. Si tratta della seconda metà degli anni sessanta e della transizione dell'Autore dall'infanzia all'adolescenza: un periodo magico in cui le esperienze personali nel piccolo mondo del paesino lucano si incrociano con i fatti e gli accadimenti a scala maggiore.

La narrazione di Rocco fluisce lenta e con sperimentata maestria percorre il microsolco del disco di vinile fuso col solco ben più vibrante della storia. Storia che prende avvio con gli Stadio che cantano "C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones" per terminare con i "Pugni chiusi" de I Ribelli, anno 1967. In mezzo ci sono anni densissimi che, sul finire del boom economico, cominciano a denunciare tutte le contraddizioni della società italiana, e non solo.

Pugni chiusi quelli degli studenti nel 68. Pugni chiusi quelli degli operai nel 69. E' l'autunno caldo, preludio alla tragedia degli anni di piombo.

Edmondo Berselli definisce gli anni Sessanta come il «decennio breve» e lo sintetizza in "quei due o tre anni centrali in cui i capelli crescono, si fanno le boccacce alle istituzioni e ci si diverte. Non appena la protesta comincia diventare più radicale e le facce si scuriscono, si capisce che il clima sta cambiando. Non è più il tempo della scoperta felice, dell'euforia leggermente irresponsabile e della creatività spregiudicata. No, qui ci si vuole incazzare. Alla grande".

Rocco Di Bono dice che "a metà di quel decennio, i nostri pochi anni non ci facevano ancora abbastanza maturi per poterci incazzare; in compenso ci facevano piuttosto curiosi di quello che succedeva intorno.

Il nostro giretto è stato breve, e si è svolto soprattutto guardando alla periferia, a quella periferia del mondo che era, all'epoca, un qualsiasi paesino della Basilicata. Eppure, anche così abbiamo (ri)scoperto un po' di cose, forse banali, ma vere:

- che il mondo di quegli anni era più lento, certo, ma anche più disposto a cambiare;

- che cambiare era ed è un verbo che si deve coniugare sempre e tutto al futuro, possibilmente portando i capelli lunghi;

- che persino nei nostri paesini di Basilicata si poteva cambiare, come accadeva in America, in Inghilterra e nel resto del mondo;

- che quegli anni forse non saranno stati i più belli, ma certamente sono stati i più fecondi e i più liberi e, perché no, anche i più divertenti di un secolo che non rimpiangeremo."

 

 


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