CROCCO.
Biografia di un brigante - Capitolo VIII - CONCLUSIONE
Se
il lettore, mosso dalla curiosità di approfondire queste mie pagine, volesse
levarsi il piacere di leggere le varie parti del mio voluminoso processo, ne
avrebbe per un mese, a giudicare dalla mole di volumi di atti, che giacevano
accatastati sul tavolo del Presidente nel giorno del mio processo.
«La Corte! »
grida ad alta voce l'usciere, ed in mezzo ad un sepolcrale silenzio i giudici
vanno a sedersi al loro posto.
“Voi
Carmine Donatelli Crocco, figlio del fu Francesco e della fu Maria Gerardo di
Santo Mauro, nato nella città di Rionero in Vulture, circondario di Melfi,
provincia di Basilicata, siete imputato di 75 omicidi, dei quali 62 consumati e
13 mancati, e di un milione e duecentomila lire di guasti, danno, incendio,
ecc.. “
Il processo mio
si svolse come si svolgono tutti i processi di questo mondo ed io non ricordo i
minuti particolari, nè ricordandoli, vorrei ora esporli, esistendo tuttora
nell'archivio provinciale di Potenza la minuta ed esatta esposizione di tutto ciò
che si disse e si lesse in quel giorno.
I giurati non
ebbero pietà di me, come io non l'aveva avuta del mio simile, la legge ebbe il
suo corso e l'uomo che aveva destato tanto terrore nella Basilicata, che aveva
fatto spargere tanto sangue, portato il lutto in tante famiglie, chiuse il corso
delle sue brigantesche gesta, dopo essersi presentato salvo ed incolume sul
territorio pontificio:
E' teatro per
tutta la natura Ognuno rappresenta la sua scena, Napoleone con la sua bravura
Nell'Isola morì di Sant'Elena.
Così Crocco già
umile pastore Dai briganti promosso generale Dopo lotte di sangue e di terrore
Sconta in galera lo già fatto male
Per assicurare
il lettore che malgrado la strombazzata mia ferocia, io mi mostrai generoso e
buono con chi non aveva fatto del male, vi prego di interrogare il Sig. Pasquale
Saraceno dei più ricchi proprietari di Atella, onesto, liberale e caino nella
guardia nazionale. Ricordo, come se fosse ora la franca e leale sua
dichiarazione fatta al mio processo, essendo egli stato citato quale testimone a
carico.
Caduto nelle
mani di una pattuglia dei miei, guidati dal feroce Ninco-Nanco, il povero Signor
Saraceno fu condotto innanzi me, perché stabilissi prima la somma pel suo
promesso riscatto ed a denaro ricevuto ordinassi il genere di supplizio per lui,
quale capitano della guardia nazionale.
Prima ancora
ch'egli innovasse pietà per la sua persona, quando mi venne presentato, io mi
dolsi della sua cattura ed imprecai contro la sua dabbenaggine che lo aveva
spinto a recarsi su strade pericolose.
Pensai a sua
madre, alla sua signora, ricordai ch'egli in a] tempi si era mostrato meco
umano, e giurai tra me e me di liberarlo subito ad ogni costo.
Ho dovuto
lottare contro la testardaggine di Ninco-Nanco più ancora contro la ferocia del
Coppa, e poiché il Signor Sara no non aveva seco denaro, per ottenere la sua
libertà, ho dovuto rendermi di persona mallevadore, che se egli non spediva 400
ducati, avrei io stesso pagato del mio, dandone 200 al Coppa e 2 al Ninco-Nanco.
Ed ebbi il piacere di veder libero il signor Saraceno, anzi mi ricordo che per
maggior garanzia, lo accompagnai io sin presso Atella.
Comprendo da me
stesso, che molti leggendo questa rozza narrazione saranno presi, e non a torto,
da un senso di ribrezzo e di nausea; ma poiché è scritto che la misericordia
di Dio è infinita, io mi auguro che anche quella degli uomini sia tale, e che
un sincero pentimento e 40 anni di ergastolo, possono redimere l'uomo , di
fronte al giudizio del suo simile e il peccatore innanzi al giudizio di Dio.
Riguardo poi a
dare alla stampa questa mia autobiografia. Ella non va soggetta a veruna
critica, avendo nelle sue mani l'originale scritto di mio proprio pugno; quindi
faccia una savia prefazione.... io lo sciolgo da ogni vincolo di riguardi verso
di me. Né io posso andare sotto censura, poiché i fatti da me scritti so no
riportati negli atti giudiziari, chi si crede fraudato ricorra a sue spese ai
processi e sarà persuaso se io mento per millanteria, ch'anzi per vergogna mi
mantengo spesso in un prudente riserbo.
Quello che mi
sta a cuore il far conoscere, si è che io agii sotto l'impulso d'una forza
maggiore, e che se gli uomini non mi avessero bersagliato sarei non dico un
personaggio, ma un onesto pastore o contadino, un pò vivo e pronto di mano,
magari un pò prepotente ma onesto.
Ripeto che tutto
quanto ho scritto è l'espressione della verità pura e semplice.
La storia della
mia povera madre Ella può chiarirla nel manicomio di Aversa dove la poveretta
finì miseramente i suoi giorni; per quella della mia famiglia può scrivere a
Rionero ove si troveranno non pochi superstiti che ricorderanno mio padre. D.
Vincenzo C, mia sorella Rosina, la mezzana Rosa e D. Peppino C da me ucciso.
Relativamente ai
fatti del brigantaggio, io non ho esagerato mai, del resto rovistando negli
archivi dei comuni da me devastati si troverà scritto di me più di quanto io
abbia ora detto scrivendo.
Lo scontro di
Toppacivita da me minutamente e diffusamente descritto, siccome quello meglio
ricordato per la vittoria avuta, potrà essere confermato dal proprietario
stesso del bosco signor Filippo Decillo di San Fele, che mi auguro sia ancora al
mondo, per quanto nulla abbia mai avuto a che fare con
Nel fatto d'armi
al Molino dell'Acinello presso Stigliano da me ricordato con minuti particolari,
Ella potrà scrivi signor Michele Del Monte od ai suoi eredi, in caso di morte
avrà a chiare note quanto colà successe il giorno 19 novembre 1861.
Per tutto il
periodo in cui agii di conserva con Borjes, vi devono esistere memorie storiche
perché lo spagnolo prendeva continuamente appunti che spediva al suo comandante
in Spagna.
Col diminuire
del brigantaggio cessarono le grandi imprese dal 1862, al 1864 non ricordo i
mille episodi della mia vita brigantesca, per cui mi sono limitato a citarne
saltuariamente qualcuno, i più importanti e caratteristici; gli altri molti
saranno correttamente stati ricordati da qualche scrittore di quei tempi, o
meglio risulteranno dai rapporti ufficiali che i Comandanti e I ne militari
avviavano al Ministero della Guerra.
Le mie famose
escursioni per la Capitanata, pel Barese Leccese, nell'alto Molise, ecc...,
hanno lasciato ricordi atroci onde non vi sarà paese che non ricordi
maledicendo le devastazioni del rinomato capobanda Crocco.
La prego perciò
illustrissimo signor……... di non mettere da parte questo mio scartafascio;
esso, ben corretto, da colui che dono della scienza e delle lettere, diverrà se
non dilettevole certo interessante e meritevole di essere letto. Mi siano perciò
te le parole improprie e sconvenienti, le prime sono da attribuire si alla mia
scarsa cultura, le seconde al mio sentito dolo prego correggere in modo ch'esse
non offendino la dignità stampa.
Non è desiderio
di trasmettere ai posteri il ricordo delle uccisioni, che mi spinge a pregarla
di stampare questo mio scritto.
Noi oggi
leggiamo gli scritti di secoli remoti e dalla narrazione dei fatti avvenuti si
traggono ammaestramenti avvenire; chi non sa che fra mille anni questi miei
scarabocchi possono servire a qualche cosa, che ora noi neppure pensiamo.
Che sorga
qualcuno, fra tanto crescente progresso intellettuale, che comprenda quello che
io cercavo, e facendo la storia dei duemila e duecento circa uomini scannati per
uno solo, trovi un efficace rimedio che valga a rigenerare il genere umano. Né
credo che in questo manoscritto difetti un tema che possa dar soggetto a
scrivere molte cose.
Quel povero
monco che dopo di aver servito il paese combattendo a Iena, a Vienna, alla
Beresina, torna in patria senza una gamba ed è costretto a guardar pecore e
mangiar ghiande per vivere, e ciò non pertanto raccontando ai giovani la sua
storia, raccomanda d'essere onesti sempre e di accontentarsi del poco ben
guadagnato e ripudiar il molto di provenienza equivoca, è tema che offre vasto
campo a serie meditazioni coi giorni che corrono.
Né credo sia da
trascurarsi il pensiero gentile in briganti feroci di dare al rogo il corpo
dell'assassinato compagno Pio Masiello e spargerne al vento le ceneri, perché
possa gridare vendetta contro il fratricida Caruso.
Ed infine, mi
pare soggetto utile l'esempio di Francesco Attanasio sei volte omicida, che ruba
per lasciar soldi alla chiesa ed ai poveri, mentre lascia impunemente condannare
innocenti incolpati dei reati ch'egli commise.
Io non ho mai
potuto comprendere come sia composto il consorzio sociale; so che il disonesto
nessuno lo può vedere, tutti lo fuggono, la legge non lo colpisce e poi si
chiama scellerato colui che lo assassina e non si vuole affatto comprendere come
non tutti gli uomini siano degni di vivere.
Carmine Donatelli Crocco