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Coro Polifonico "Santa Maria"

Coro Polifonico S.Maria-Banzi

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... biografia non autorizzata ...

Monna Rosa e Messer Vituccio (detto Ciaracà’l), per grazia di Dio e per effetto di strane congiunzioni astrali, intorno all’anno LV del XX secolo mettono al mondo un vispo marmocchio registrato nelle cronache del tempo col nome di Carmine in onore dell’avo più prossimo e nel rigido rispetto della tradizione dell’epoca.

Al piccoletto, a dire il vero, non sembra interessasse gran che  vedere la luce, anzi la tenera simbiosi materna lo aveva talmente ammaliato che per nulla al mondo vi avrebbe rinunciato: per tal motivo artigliò con forza e determinazione le pareti uterine e prolungò oltre ogni umana decenza la sua fastidiosa permanenza. Al termine del decimo mese di gestazione finalmente capitolò, ma fu necessario far intervenire la Banda di Francavilla e la Fanfara dei Bersaglieri che, con varie e magistrali esecuzioni -in particolare la Marcia a Tubo (che, pressappoco, fa così: parapà papapa para papa ...) riuscirono a scalfirne la risoluta fermezza. Tuttavia, la trovata determinante per far desistere il pargoletto dall'insano proposito di trattenersi oltre fu avanzata da lontani parenti orientali che suggerirono l'impiego di alcune danzatrici. 

Bastarono tre discinte odalische ed alcune innominabili promesse (... poi non mantenute) e Donna Rosa (detta pure Rusina Quattùcchj, con un sospiro di sollievo, riuscì a liberarsi del pesante fardello: cinque chilogrammi, circa.

Era una chiara e fresca domenica di aprile: 

il pianeta, stupito, si accinse ad ospitare un altro fiero figlio di Adamo. 


Il primo bagno del neonato, così come era costume in quelle lande desolate e dimenticate da Dio, fu fatto a mezzo di varie e prolungate immersioni in acqua tiepida e mi'r niù'r di'rradd (vino rosso, che in quel borgo viene denominato vino nero della contrada Ralle) o solo nel vino, non è ben chiaro. Dopo il bagno, il vino doveva essere prontamente gettato fuori poichè il neonato, di sesso maschile, dovrà percorrere le strade del mondo; se invece fosse stato femmina, allora sarebbe stato versato nel focolare affinchè diventasse una buona, laboriosa e diligente donna di casa.

Naturalmente le immersioni più venivano prolungate e meglio e più efficace sarebbe stato l'effetto. Il piccoletto si divincolò, dopo le prime immersioni cercò di spiegare a modo suo che poteva anche bastare, tentò una lunga apnea ma quando fu arrivato al decimo tuffo non potè fare a meno di trangugiare una prima sorsata. 

E vide che era cosa buona ... 

E ne approfittò: il primo caso di bambino sbronzo alla nascita. 

Quando videro che il livello di vino nella concarella si abbassava rapidamente, dovettero porre fine al bagnetto chè altrimenti non ne sarebbe restato a sufficienza per gettarlo per strada.

Terminata questa operazione, per nulla sazio, immediatamente "Carmnôcc s'appont alla mènn"  ma, nonostante le interminabili e copiose libagioni, tra un brindisi e l'altro e brandendo minaccioso le prospere coppe materne, comincia a rompere una tale quantità di scatole e timpani che tutti gridano allibiti: “Madonna mia, è allupato …… E’ ALLUPATO ! ”. In casi come questi, piuttosto rari ma non impossibili a verificarsi, non c’è che una cosa da fare: ricorrere all’estrema ratio del Rito del Fornaio.

Il  Rito, piuttosto semplice ma alquanto periglioso per l’infante, consiste nel recarsi alle prime luci dell’alba presso un forno a legna idoneo per la panificazione. Dopo aver portato la temperatura interna al normale livello di esercizio (circa 250 gradi) e prima dell’infornata delle pagnotte, il padre del moccioso allupato lo bacia sulla fronte e lo depone su una pala da fornaio mentre la madre, alzando e abbassando ritmicamente le braccia, comincia a cantilenare la formula rituale:

Abbùgnt Lu’p… Abbùgnt Lu’p … (Saziati Lupo)

Allora il padre, con mano ferma e decisa, lo introduce nel forno e lo ritira subito dopo. Queste operazioni vengono ripetute fino a quando il pargoletto, sopraffatto dal calore (o arrostito), non smette di piangere; in tal caso possono esservi due distinte conclusioni del Rito.

La prima, più rara eppur verificatasi talune volte, determina la fine prematura dell’infante. In questo caso viene pronunciata la formula di chiusura del Rito: 

u Lu’p là ppglià’t e s’lè purtà’t e mangia’t

(il Lupo lo ha preso e se lo è portato e mangiato)

Nella seconda, più consueta, pur riportando una deliziosa doratura determinata dall’essere stato delicatamente abbrustolito, si ha la sopravvivenza del fanciullo e la recita, con grande giubilo, della formula finale:

u Lu’p s éj abbunghià’t e c’là lassà’t

(il Lupo si è saziato e ce lo ha lasciato)


Talvolta però, digerito lo shock, così come accade al nostro, il ragazzino “ca éj trè’st assaj“ (che è molto triste. In questo caso, nel lessico popolare, il termine triste ha significato opposto), con rinnovato vigore riprende a rompere le scatole sia di giorno che di notte. Non potendo ripetere il Rito del Forno che infatti  può essere eseguito una sola volta, Donna Rosa, consultate le vecchie e sagge comari del villaggio, gli somministra una doppia dose di pararina (specie di decotto oppiaceo) che riduce finalmente al silenzio l’indomito monello.

La dose deve essere stata effettivamente abbondante se il nostro dorme ininterrottamente per molto tempo.

Troppo tempo.

Quando al terzo giorno si comincia già a pensare alle esequie, ecco che il ripetuto raglio di un asino associato al tenue e sommesso muggito di un pio bove segnala il rinvenimento  d’u uagliuncìdd (del ragazzino)......

Nel villaggio si grida al miracolo!

Questi eventi maravigliosi assegnano al piccolo redivivus un posticino di rilievo nella villica comunità ma, pur nutrendosi a sazietà, cresce sempre meno. Donna Rosa fu allora assalita da un tremendo sospetto: "Madonna meja ..., vu vdè ca te'n i virm?" (Madonna mia, vuoi vedere che tiene i vermi?) e, preso il bimbetto in braccio, andò senza esitazione dalla cummarella che ben sapeva come risolvere la questione. Lì si svolse questo breve dialogo:

- Ueh, cummà, u m'nènn non crésc e non crésc. Ohimmé, cu'mm a ma fà, sarrà cha tè'n i virm ?...

- (commara, il bambino non cresce e non cresce. Come dobbiamo fare, forse che tiene i vermi?)

La cummarella, dopo aver esaminato scrupolosamente il pargoletto in ogni suo più recondito anfratto, così sentenziò:

- E'ssè, accussè a'va ess cummara mej. Faci'm d sta manèr: purtammèll cramati'n, alla prim'ora, c'nà nzerta dagl, nu mazztìd d ptrsi'n e npècch d psciacchj d att, ca laggia fà vdé i sorg ross a chi'r mallètt virm!... e, non z sa'p mai, purt pu'r nu cruc'fèss d li'mn d'uliv.

...E non t scurdà nu pana'r d'ôv frésc'c e na schcanat d pa'n. E nu purétt di mi'r niu'r. M raccumànn!"

- (e sì, così deve essere commara mia. Facciamo in questa maniera: portamelo domani mattina, alla prima ora, con una treccia d'aglio, un mazzolino di prezzemolo e un po' di orina di gatto che gli devo far vedere i sorci rossi a quei maledetti vermi!... e, non si sa mai, porta pure un crocifisso di legno d'ulivo. E non dimenticare un cesto di uova fresche e una pagnotta di pane. E una grossa bottiglia di vino nero. Mi raccomando!)

La mattina dopo, albeggiava appena quando Rusina Quattùcchj uscì di casa col bambino e tutto l'occorrente richiesto dalla masciara che l'aspettava sull'uscio e che subito le chiese: "è purta't tôtt?" (hai portato tutto?). Al cenno affermativo di Rusina, le disse di entrare, lasciare tutto sul letto, uscire ed aspettare. Donna Rosa non avrebbe mai lasciato il bambino da solo nelle mani della masciara ma il pensiero di quei vermi che se lo mangiavano da dentro la spinse fuori con una silenziosa preghiera sulle labbra.

Non si sa cosa successe di preciso in quella casa ma, di lì a poco, si sentì la voce della cummarella che salmodiava, imprecava, cantava, gridava e pregava. Si udì il bambino che piangeva, si udirono parole innominabili, si sentirono suoni che nulla avevano di umano. Rusinella, piano piano, sentì il gelo che le entrava nella carne e fino nel midollo delle ossa, si sentì gelare l'anima. Poi un urlo, risate e urla. E preghiere. Tante preghiere.

Quando tutto finì il sole stava abbandonando la terra e davanti alla porta chiusa si era man mano raccolto tutto il paese, la cummarella, bianca in viso come uno spettro, uscì col bambino in braccio e lentamente lo levò al cielo:

Lagg l'bbra't ! (L'ho liberato !)

detto questo, lasciò il bambino e si accasciò al suolo.

Tutti si inginocchiarono e ringraziarono e pregarono Maria: non i vermi avevano preso albergo, ma il Maligno in persona!

La Santa Madre aveva avuto pietà di quel piccoletto, aveva interceduto e pregato il Padre. 

Il bambinello, cadendo a terra, allntàv nu pèdt gruss cu'm nu tru'n (fece un peto grosso come un tuono) e invece di piangere, si mise a ridere.

Il Male, alla fine, era stato vinto e scacciato nel suo più nero e profondo abisso.

Donna Rosa tornò così a casa col bimbetto in braccio che rideva, rideva, rideva nonostante l'ampio bernoccolo che aveva in testa. Quì, finalmente, nella calma delle mura domestiche, bello come il sole, fece un lungo e caldo bagnetto che lo ristorò e lo preparò ad affrontare la vita, fiducioso e sereno.

 


... Nonostante tutte queste avversità e a dispetto di queste e di molte altre sulle quali, per il momento, stendiamo un pietoso velo ma su cui potremmo tornare in futuro (acquisizione del concetto di sè, prime pratiche col sesto dito, approccio alla dimensione femminile), il piccoletto crebbe. E mettendo a frutto il suo modesto bagaglio cranico nelle ancor più modeste strutture pubbliche, si applicò con diligenza negli studi imparando -non senza enormi fatiche- a leggere, scrivere e far di conto (vedi alcune autentiche  perle  tratte da composizioni originali dell’epoca), approdando infine all’Università dell’Urbe di Roma “La Sapienza” ove, sul finire del terzo mese dell’Anno Domini MCMLXXX, venne nominato capomastro col titolo di Dottore in Architettura.

Nel frattempo, il giovane si lasciava docilmente avvinghiare nelle spire di un’avvenente pulzella  –Donna Taresinella– che, dopo averlo tramortito col suo solo sguardo rovente, afferratolo per la collottola (per non dire altro) lo trascinò all’altare tra due giubilanti ali di folla e qui, alla presenza del Signore e del suo ministro Don Pepp, udita la formula di rito:  “Vuoi tu prendere …” e pronunciata l’inevitabile risposta, lo condusse in una morbida alcova e si dedicò alla formazione della prole.

* * *

Questo è solo il prologo della nostra piccola cronaca!... molto si potrebbe ancora dire (e forse si dirà ...)

per il momento

acta est fabula ... plaudite!

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