La lunga marcia del fotovoltaico. Un po' di storia

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La scoperta risale ad oltre un secolo fa. I pionieri


Nel 1867, durante i lavori per la posa in opera del cavo telegrafico transatlantico, l'elettricista capo del progetto, Willoughby Smith, inventò un congegno eccezionale per individuare eventuali difetti dei cavi via via che venivano immersi. Nel cercare un materiale poco costoso per realizzare l'apparecchio di controllo, Smith provò a utilizzare delle barre di selenio cristallino. Il sovrintendente May, che dirigeva i test, riferì però che le barre di selenio (pur funzionando bene di notte) fallivano miseramente appena sorgeva il sole.

Sospettando che lo strano comportamento del selenio avesse a che fare con la quantità di luce che riceveva, Smith pose le barre in una scatola col coperchio scorrevole. Quando la scatola era chiusa e la luce non passava, la resistenza delle barre (cioè l'opposizione posta al passaggio della corrente elettrica) era massima e restava costante.

Togliendo il coperchio della scatola, però, la loro conduttività (ovvero la capacità di far passare la corrente elettrica) aumentava immediatamente "del 15-100%, a seconda dell'intensità della luce".

Poco dopo, nel 1876, due scienziati britannici (William Grylls Adams e Richard Evans Day), attraverso semplici esperimenti, scoprirono che il selenio convertiva direttamente la luce del sole in elettricità e definirono “fotoelettrica” la corrente prodotta dalla luce.

Adams suggerì che delle celle a selenio costruite correttamente avrebbero potuto fungere da fotometri per misurare l'intensità della luce. Effettivamente, il fotometro a selenio ha goduto di una grande successo commerciale. È l’esposimetro a selenio di cui sono dotate praticamente tutte le macchine fotografiche a garantire una corretta esposizione della pellicola. La cella a selenio costituisce inoltre “l’occhio" dei dispositivi di apertura delle porte automatiche, e serve agli astronomi per individuare la presenza di luce.

Qualche anno dopo, Charles Fritts di New York fece progredire la tecnologia costruendo il primo pannello fotoelettrico al mondo. Stese un ampio e sottile strato di selenio su una lastra di metallo e lo coprì con una sottile pellicola semitrasparente d'oro. Fritts riferì che il pannello di selenio produceva una corrente "continua, costante e di notevole forza non solo esponendolo alla luce diretta del sole, ma anche a una debole luce diffusa, e addirittura alla luce  artificiale". In merito all'utilità della sua invenzione, Fritts dichiarava ottimisticamente che "fra non molto la lastra fotoelettrica potrebbe competere” con le centrali elettriche a carbone, la prima delle quali era stata costruita da Thomas Edison nel 1882, appena tre anni prima che Fritts rendesse pubblici i suoi lavori.

Comunque, anche se l'apparato adoperato non ha alcuna vera affinità sostanziale con i dispositivi che attualmente convertono la luce solare direttamente in elettricità, fu Edmond Becquerel, fisico sperimentale francese, a scoprire l'effetto fotoelettrico. Già nel 1839, infatti, Becquerel riferì di aver osservato che l'esposizione alla luce del sole di due lamine di metallo differenti immerse in un liquido dava luogo alla generazione di una corrente.

Il perché avvenisse tutto ciò nessuno fu in grado di dirlo fino al 1905, quando Albert Einstein dimostrò che la luce possiede una caratteristica che gli scienziati precedenti non avevano identificato, ovvero che essa contiene pacchetti di energia, che egli denominò "quanti" di luce (quelli che noi oggi chiamiamo fotoni). Einstein affermò che la quantità di energia trasportata dai quanti di luce varia a seconda della lunghezza d'onda della luce stessa: più corta era l'onda e più energia trasportava. Questa descrizione originale e innovativa della luce, insieme alla scoperta dell'elettrone e alla conseguente proliferazione di ricerche sul suo comportamento, fornì agli scienziati del secondo decennio del Novecento una migliore comprensione della fotoelettricità.

Si osservò che, in materiali come il selenio, i fotoni più potenti trasportano energia sufficiente per espellere fuori dai propri orbitali atomici gli elettroni debolmente legati agli atomi stessi. Quando al materiale si collegano dei fili, gli elettroni liberati vi fluiscono sotto forma di corrente elettrica. Gli sperimentatori dell'Ottocento avevano definito "fotoelettrico" tale fenomeno, mentre intorno agli anni Venti gli scienziati adottarono il termine "effetto fotovoltaico".

Nella primavera del 1953, studiando il silicio e le sue possibili applicazioni nell'elettronica, Gerald Pearson, fisico presso i Laboratori Bell, costruì involontariamente una cella solare a silicio, molto più efficiente di quella a selenio.

Altri due scienziati della Bell (Darryl Chapin e Calvin Fuller) perfezionarono la scoperta di Pearson e realizzarono la prima cella al silicio in grado di convenire in elettricità abbastanza energia solare per alimentare dispositivi elettrici di uso quotidiano. Il New York Times elogiò la scoperta affermando che “potrebbe segnare l'inizio di una nuova era e condurci infine alla realizzazione di uno dei sogni più cari all'umanità: lo sfruttamento dell'energia quasi illimitata del sole per gli usi della civiltà".

Il salto tecnologico dei Laboratori Bell suscitò una grande eco in tutto il mondo e l'aspettativa che il fotovoltaico avrebbe ben presto sostituito le centrali elettriche esistenti. Per il momento, però, c’era ancora molto da fare, dato che il prezzo elevato delle celle solari a silicio non consentiva alcuna applicazione pratica.


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